Basta con clanismo, clientelismo e corruzione in Burkina Faso!
Burkina Faso: mosse politiche del presidente padrone
Rotta verso il 2015: tempi difficili
In sella da 26 anni Blaise Compaoré le studia tutte per restare al potere. Adesso sta creando un Senato alle sue dipendenze. Ma il popolo non ci sta. E le manifestazioni di piazza sfociano nella violenza.
Il Burkina Faso si prepara a giorni travagliati in vista del 2015, anno delle elezioni presidenziali. In quella data, infatti «scadrà» Blaise Compaoré, al potere indiscusso dal quel lontano 15 ottobre 1987, quando fece assassinare il presidente Thomas Sankara e 12 suoi stretti collaboratori. Blaise, così viene chiamato in Burkina, è passato indenne attraverso elezioni, multipartitismo, assassinii politici eccellenti del suo regime (come quello del giornalista Norbert Zongo, ucciso il 13 dicembre 1998), lotte interne del suo partito, il Cdp (Congresso per la democrazia e il progresso), modifiche costituzionali. Ed è proprio la Costituzione del 1991, modificata nel 2005, che ha ridotto la durata della presidenza da 7 a 5 anni, e imposto il limite a due mandati. Compaoré rieletto nel 2005 e 2010, sarebbe, il condizionale è d’obbligo, al suo ultimo mandato. Ma da mesi ormai, il presidente e i suoi lavorano per cambiare quel famoso articolo 37 della Costituzione, che limita i mandati presidenziali.
L’ultima trovata è la creazione di un Senato, che porterebbe il Parlamento a un sistema bicamerale (attualmente si basa sull’Assemblea Nazionale di 111 membri). Creazione anacronistica, visto che in altri paesi della regione, come in Senegal, il Senato è stato soppresso per tagliare i costi della politica. Così il 21 maggio scorso i deputati hanno approvato la legge sul Senato che sarà composto da 89 senatori, di cui 29 nominati direttamente dal presidente, 39 eletti o designati dalla collettività territoriali e 21 indicati dalla società civile.
Il calcolo politico è chiaro: con un Senato sotto il suo controllo, il Cdp avrebbe con tutta probabilità la maggioranza qualificata di due terzi dei parlamentari per modificare l’articolo 37.
Ma i burkinabè, popolo mite e tollerante, questa volta sembrano non essere d’accordo. L’idea del Senato manda in ebollizione la società del paese. Diverse manifestazioni investono le strade della capitale Ouagadougou e di altre città del paese, a maggio, giugno e luglio. Alcune, in particolare condotte dagli studenti, sfociano in atti violenti come sequestro e distruzione di vetture di passaggio, e chiedono le dimissioni di Blaise. I giovani, il 59,1% dei burkinabè è sotto i 20 anni, diventano la spina nel fianco del presidente.
E la Chiesa non sta a guardare: il 15 luglio i vescovi del Burkina Faso, che già si erano espressi in passato contro la modifica dell’articolo 37, diffondono una Lettera pastorale dai toni pacati ma fermi, che critica le nuove mosse del potere (vedi box).
Usa e Francia vorrebbero mantenere il paese nella stabilità, vista la turbolenza che ha investito tutta la regione da circa due anni (guerra in Mali, attentati qaedisti in Niger, gruppi integralisti in Nigeria, ecc.). C’è chi dice che anche Blaise voglia farsi da parte (e per lui si cerca una posizione di prestigio in una organizzazione internazionale), ma il suo partito non è pronto e si scatenerebbe una guerra di successione. In prima fila il fratello minore, François Compaoré, testa calda e implicato, tra l’altro, nell’assassinio del giornalista Norber Zongo.
Marco Bello
Lettera pastorale dei vescovi del Burkina Faso
L'avvenire pieno di pericoli
Basta con clanismo, clientelismo e corruzione. Il Burkina ha bisogno di una maggiore redistribuzione di ricchezza, trasparenza ed etica. I vescovi prendono la parola contro la polveriera sociale. Basta con clanismo, clientelismo e corruzione. Il Burkina ha bisogno di una maggiore redistribuzione di ricchezza, trasparenza ed etica. I vescovi prendono la parola contro la polveriera sociale. Il 15 luglio scorso, i 16 vescovi del Burkina Faso pubblicano una lettera pastorale sulla situazione del paese. Esplicita sul malgoverno, è una presa di posizione forte. Nel testo, i prelati, espongono la loro preoccupazione per la situazione politico-sociale del paese e per le tensioni e agitazioni che lasciano trasparire un «malessere della società burkinabè». Facendo un’istantanea la lettera descrive una società profondamente cambiata, in cui l’alfabetizzazione e le conoscenze sono raddoppiate (dal 16% al 32%), con un maggiore accesso all’informazione, grazie alle nuove tecnologie e una maggiore presa di coscienza delle donne. Ma la «frattura sociale» sta aumentando, con la base della povertà che si allarga, mentre il potere politico ed economico interessa un gruppo sempre più ristretto. La lettera denuncia la «Crisi di valori» con il denaro diventato valore di riferimento, più importante della famiglia, della nazione, di Dio. I giovani sono sempre più emarginati e rigettano e sfiduciano chi governa. Il malcontento profondo e il sentimento di ingiustizia sfocia in un aumento della violenza. «In questo contesto di grande povertà e bisogno essenziali di base non coperti, quali salute, educazione, lavoro, casa, cibo, che valore aggiunto fornisce il Senato?» si chiedono i vescovi. Secondo l’opposizione, la camera alta costerebbe allo stato tra i 5 e 7,5 milioni di euro all’anno. «Le istituzioni sono legittime se sono socialmente utili», continuano i vescovi. La denuncia al potere assume termini forti: «clanismo, clientelismo, corruzione finanziaria», da sostituire con «democrazia consensuale, consultativa e inclusiva», perché «una democrazia senza valori etici si trasforma facilmente in totalitarismo dichiarato o sornione in dispotismo legale». Il documento porta la proposta della Chiesa: «Affinché il Burkina Faso non diventi una polveriera sociale occorre ricercare la giustizia sociale, operare per una trasformazione sociale e democratica profonda promuovere i valori cardinali di solidarietà e sussidiarietà. Questa deve essere la preoccupazione di chi governa». E le raccomandazioni: «Più equità nella distribuzione della ricchezza, più trasparenza nella gestione degli affari pubblici, più etica nei comportamenti sociali e politici». Marco Bello
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Il 15 luglio scorso, i 16 vescovi del Burkina Faso pubblicano una lettera pastorale sulla situazione del paese. Esplicita sul malgoverno, è una presa di posizione forte. Nel testo, i prelati, espongono la loro preoccupazione per la situazione politico-sociale del paese e per le tensioni e agitazioni che lasciano trasparire un «malessere della società burkinabè». Facendo un’istantanea la lettera descrive una società profondamente cambiata, in cui l’alfabetizzazione e le conoscenze sono raddoppiate (dal 16% al 32%), con un maggiore accesso all’informazione, grazie alle nuove tecnologie e una maggiore presa di coscienza delle donne. Ma la «frattura sociale» sta aumentando, con la base della povertà che si allarga, mentre il potere politico ed economico interessa un gruppo sempre più ristretto. La lettera denuncia la «Crisi di valori» con il denaro diventato valore di riferimento, più importante della famiglia, della nazione, di Dio. I giovani sono sempre più emarginati e rigettano e sfiduciano chi governa. Il malcontento profondo e il sentimento di ingiustizia sfocia in un aumento della violenza.
«In questo contesto di grande povertà e bisogno essenziali di base non coperti, quali salute, educazione, lavoro, casa, cibo, che valore aggiunto fornisce il Senato?» si chiedono i vescovi. Secondo l’opposizione, la camera alta costerebbe allo stato tra i 5 e 7,5 milioni di euro all’anno. «Le istituzioni sono legittime se sono socialmente utili», continuano i vescovi.
La denuncia al potere assume termini forti: «clanismo, clientelismo, corruzione finanziaria», da sostituire con «democrazia consensuale, consultativa e inclusiva», perché «una democrazia senza valori etici si trasforma facilmente in totalitarismo dichiarato o sornione in dispotismo legale». Il documento porta la proposta della Chiesa: «Affinché il Burkina Faso non diventi una polveriera sociale occorre ricercare la giustizia sociale, operare per una trasformazione sociale e democratica profonda promuovere i valori cardinali di solidarietà e sussidiarietà. Questa deve essere la preoccupazione di chi governa». E le raccomandazioni: «Più equità nella distribuzione della ricchezza, più trasparenza nella gestione degli affari pubblici, più etica nei comportamenti sociali e politici».
Marco Bello |
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Dicembre 2013