Dopo 20 anni Bcp (Beati i costruttori di pace) sono tornati
di Nevio Mini
Sono passati venti anni dalla marcia dei 500 che dall’Italia, dopo un estenuante viaggio e in piena guerra, riuscirono a raggiungere la città assediata di Sarajevo dove uomini, donne, anziani e bambini erano costretti a vivere al gelo e con pochi viveri e con il rischio di finire nel mirino dei cecchini o sotto qualche granata. Ed è proprio per ricordare quei giorni e nella ricorrenza della Dichiarazione universale dei diritti umani che Beati costruttori di pace sono ritornati in Bosnia: come ama ripetere don Albino Bizzotto di quella straordinaria esperienza di interposizione nonviolenta non esiste una narrazione storica ma solo il ricordo di persone o gruppi che a vario titolo ne furono coinvolti.
Il vescovo di Sarajevo, monsignor Sudar, nella rievocazione di quei giorni, e nello specifico nella memoria della marcia dei 500, ricorda lo stupore di allora «con quei folli» che volevano entrare in città e condividerne la sofferenza, mentre quelli che potevano cercavano di scappare. «Ma quei volontari ci hanno fatto capire che non eravamo stati abbandonati e ci ha permesso di sopravvivere. Dal carcere è bello avere visite».
I 130 pacifisti (provenienti da Veneto, Emilia, Puglia) coordinati da Albino Bizzotto e Lisa Clark hanno vissuto i momenti più toccanti in occasione della commemorazione del pacifista Gabriele Moreno Locatelli ucciso da un cecchino sul ponte Vrbanja e dinnanzi al monumento che ricorda i 1500 bambini di Sarajevo vittime della guerra. Per l’occasione è stata inaugurata presso la scuola cattolica multietnica di Sarajevo la mostra sul servizio postale che Beati costruttori di pace riuscirono ad allestire e che permise di mantenere un legame fra la città e i connazionali sparsi nei vari Paesi del mondo.
La posta, a volte anche dopo un lungo percorso, arrivava a Padova presso la sede dei Beati, qui veniva smistata; successivamente i volontari, come spalloni, si recavano a Falconara, prendevano l’aereo che li avrebbe portati a Sarajevo e qui la posta veniva consegnata casa per casa. Successivamente il servizio postale fu utilizzato anche per inviare danaro ai cittadini di Sarajevo e tali somme garantirono in alcuni casi sopravvivenza; qualcuno ipotizza che siano stati smistati quasi 5 milioni di marchi.
Le giornate sono proseguite incontrando le varie associazioni del volontariato presenti sul territorio, ascoltando la testimonianza dell’anziano generale Jovan Divjak (che è stato uno dei difensori della città assediata) e di persone della società civile di Sarajevo.
Un momento interessante è stato l’incontro con il giornalista Zoran il quale ha fatto il punto sull’attuale situazione della Bosnia che presenta aspetti non certo incoraggianti. In primo luogo la Bosnia Erzegovina continua a essere divisa in 2 entità, poi la Costituzione suddivide la popolazione in: croati, serbi e bosniaci musulmani (bosgnacchi). Questa realtà ha creato una pletora di funzionari che ruotano attorno ai 10 cantoni nei quali è stato diviso lo Stato e dove ogni cantone ha un suo parlamento e a cascata tutti gli atti debbono essere sempre suddivisi per le tre entità. Il 62 % del Pil è assorbito dalla pubblica amministrazione. La Bosnia con i suoi 3.800.000 abitanti detiene un record negativo non certo invidiabile, in quanto risulta essere la nazione con il più alto numero di parlamentari. E qualora gli aiuti internazionali venissero a mancare tutta l’impalcatura su cui si regge il precario equilibrio statale crollerebbe con conseguenze disastrose. In questa condizione il prossimo anno ci sarà il censimento della popolazione e all’orizzonte pare non esserci nessuno in grado di superare i problemi sopra menzionati. Quindi è auspicabile vi siano momenti di incontro verso quelle istituzioni e società civile della Bosnia che fra mille difficoltà cercano di favorire il dialogo fra le varie etnie.