Ok il prezzo è giusto. O no? turismo responsabile e prezzi
Ok, il prezzo è giusto. Ah sì?
Qual è il prezzo giusto in una transazione di turismo responsabile?, mi ha chiesto una socia l’altro dì.
Bella domanda, la cui risposta a pensarci bene non è affatto scontata. Si tende a associare spesso questo modo di intendere il turismo con un atteggiamento eticamente connotato, ma come si determina un prezzo giusto, quindi adeguato, in un mondo che è legato alla legge della domanda e dell’offerta, che con l’etica non va proprio d’amore e d’accordo? E chi lo determina? Sulla base di cosa?
Di solito se per un alloggio, una guida o un qualsiasi altro servizio turistico mi chiedono X euro per il proprio lavoro, il potenziale cliente (viaggiatore o operatore che sia) può accettare, rifiutare o al più contrattare sulla base della sua convenienza, di quanto vuole spendere. Difficilmente la transazione si basa su altri criteri, è insomma difficile sentire che un viaggiatore, dopo aver saputo di un prezzo, dica “no guardi, questo servizio vale molto di più, mi sento in dovere di pagarla il doppio” (in base a cosa poi deciderebbe che vale di più?); e se invece dice il contrario in genere è a causa di un raggiro o di un servizio scadente, non ho mai sentito turisti dire che il prezzo concordato è troppo alto perché la media del guadagno medio degli abitanti di quel luogo è assai inferiore, semplicemente perché è difficile che un turista sappia informazioni di questo tipo.
Ma se non voglio considerare solo le leggi di mercato nel determinare un prezzo, a quali parametri mi appiglio?
Per alcune categorie esistono dei salari minimi prestabiliti da contrattualizzazioni e accordi, che possono fungere da asticella sotto cui non scendere; in altri casi l’impresa pare più ardua, la libertà di ciascuno di proporre il proprio prezzo rende in teoria qualsiasi prezzo può essere giusto, basta trovare qualcuno che è disposto a pagare la cifra richiesta. O se è una cifra ridicola si può sempre pensare che se la propone, un guadagno ce lo avrà, dunque perché farsi problemi inutili?
Se non erro è Latouche che sostiene che il prezzo giusto è quello che nasce da una contrattazione fra chi offre e chi vuol comprare, perché alla fine il prezzo pattuito accontenta entrambi.
Idea interessante, ma di non facile applicazione in culture non abituate alla trattativa. Ve lo immaginate un dialogo del tipo:
- Salve, vorrei prendere una guida turistica per la visita in città, siamo 4
- Bene signora, che ne dice di pagare 300 ?
- Direi che è troppo, gliene offro 20!
- Signora mia, e che dobbiamo fare con 20, se vuole al massimo posso
scendere a 280!
- Eh sì, mica sono stupida io, facciamo 40 e non se ne parla più
- Lei mi vuole rovinare! 260
E potrei continuare ma immagino che ci siamo capiti, l’esempio è quantomeno inattuale nella nostra società, dove la maggior parte dei turisti prima di partire vuol sapere quanto pagherà il servizio (oltre a essere un obbligo per le agenzie di viaggio).
Se così non fosse si metterebbero i turisti quantomeno in difficoltà. A volte mi diverto a risponder loro che il servizio di cui hanno usufruito costa quanto loro ritengono di doverlo pagare. Lo faccio con spirito sociologico, per vedere che effetto fa una frase in apparenza così semplice ma così poco consona in questo settore. In genere nelle facce di chi ho di fronte si dipingono scene di sincera disperazione, la risposta più frequente è: “così ci metti in difficoltà” che la dice lunga sull’incapacità di dare un valore a un servizio che sia frutto di un ragionamento che non derivi da un listino predeterminato di cui si sa solo la cifra finale.
Effettivamente in molti casi tolte le spese fisse (che può avere un alloggio, già una guida turistica di spese vive ne han ben poche, iva a parte) come lo definiamo un prezzo?
Una guida che conosco faceva il calcolo partendo da quanto voleva guadagnare al mese, e dividendolo per i 4 week end per determinare la sua tariffa oraria. Quando gli chiesi perché divideva solo per i week end e non per tutti giorni della settimana, mi disse che c’era mercato solo nei week end. “E gli altri giorni dunque non lavori ma vuoi guadagnare quanto uno che lavora 5 o 6 giorni a settimana?”, gli chiesi stupito, e lui mi guardò come fossi un marziano.
Chi aveva ragione? Chi era etico? Dipende anche da quale punto di vista vediamo la vicenda, in fondo. Ognuno ragiona a modo suo, non solo nel settore turistico. E l’etica? Secondo me l’argomento merita una riflessione anche più approfondita, nel frattempo si raccolgono impressioni in merito.
Sergio Fadini
Sociologo e antropologo del turismo, esperto di turismo responsabile, scrittore. Fondatore del progetto “il Vagabondo” per un turismo responsabile nel Sud Italia.