Claudio Sabelli Fioretti: il cammino? È come un'ipnosi
Inserito
da Giorgio Gatta giovedì 14 febbraio 2013
Claudio Sabelli Fioretti è un viaggiatore. Uno di quelli per cui l’esperienza in sé vale più del traguardo. Prima a piedi da Trento a Roma con l’amico conduttore radiofonico Giorgio Lauro. Poi 15 giorni in camper in giro per l’Andalusia con il figlio Giovanni. E sempre con un bel carico di leggerezza nella testa e nella valigia.
Nel viaggio a piedi da Lavarone a Vetralla è stato più difficile partire o tornare a casa ovvero staccarsi o tornare alle solite abitudini?
«Partire è stato difficilissimo, un po’ perché c’era la paura dell’ignoto, perché era la prima volta che facevamo una cosa del genere, perché pioveva, perché la prima tappa era di montagna e anche un po’ pericolosa. Dopo il primo giorno ci siamo fatti prendere dall’avventura e dalla curiosità e tutto è andato per il meglio. Tornare invece è stato diverso, non solo perché quando metti in moto un meccanismo fisico e mentale è difficile interromperlo, ma soprattutto perché in sei ore abbiamo ripercorso secondo un itinerario quasi identico il viaggio per il quale avevamo impiegato trenta giorni. Una cosa straniante di fronte alla quale non si sapeva come reagire».
Per descrivere questa esperienza hai utilizzato la parola tedesca wandern ovvero "niente scopo, niente programma, niente missione, niente regole"...
«E’ la stessa filosofia utilizzata nel Forrest Camper in Andalusia e nella vita stessa? «Direi di sì. Durante il Forrest Camper mio figlio ed io abbiamo cambiato opinione e progetti almeno dieci volte, con un’unica differenza: nel giro a piedi non c’era nessun progetto quotidiano. L’unico era quello di partire da Masetti, la frazione in cui abitavo, e arrivare a Cura, la frazione dove sono nato. In Forrest Camper ogni giorno avevamo un progetto e ogni giorno lo cambiavamo. Per quanto riguarda la vita il discorso è un po’ più complesso, però qualcosa di simile ci deve essere, se è vero che ho lavorato in quindici giornali diversi, mi sono sposato tre volte e ho abitato a Roma, Milano, Genova, Bologna e Trento. In questo momento sono addirittura residente nelle isole Eolie ma passo gran parte dell’anno a Roma e Lavarone».
Viaggiare a piedi è una soluzione in tempo di crisi? O rappresenta la chiave per uscire dalla crisi? C’è chi dice che la lentezza, la decrescita e il capovolgimento dell’attuale modello produttivo permettano lo spostamento verso l’alto della lancetta del benessere. Come dire, il cammino e più in generale la lentezza sono atti rivoluzionari...
«Io non credo che andare a piedi da Trento a Roma sia una forma di risparmio, né che induca al risparmio. Anzi, tutte le sere cercando l’albergo per dormire, stanchi per i 20/30 km percorsi, spesso anche febbricitanti, cercavamo l’albergo migliore e il ristorante più caro. Diverso è il discorso se lo si prende più in alto. Cioè, educarsi a passare il tempo libero camminando piuttosto che giocando con le slot machine oppure attaccati alla televisione oppure frequentando i costosi stadi dei calciatori miliardari, rappresenta sicuramente una via vicina o perlomeno tangente alla decrescita felice. Non credo nemmeno che la gente vada a piedi perché non ha soldi. Lo ha detto bene Enrico Mentana: quando la gente è in crisi, rimane a casa davanti alla televisione. E poi, diciamolo, a me sembra che fare viaggi a piedi per lunghi periodi sia un lusso, il lusso di chi non ha il drammatico bisogno di guadagnarsi da vivere. Detto questo, se poi si sceglie di andare a passare 15 costosissimi giorni nel divertimentificio di Rimini, beh allora non so più che dire».
Che Italia hai incontrato lungo il cammino?
«Dal punto di vista stradale, percorrendo le provinciali, ho incontrato l’Italia peggiore, quella che considera una grande pattumiera tutto ciò che c’è fuori dal finestrino. Le strade provinciali sono costruite senza tener conto delle esigenze dei pedoni. Percorrerle a piedi è pericolosissimo, perché si viene sfiorati spessissimo dalle macchine e soprattutto dai tir. In più si cammina su un tappeto di pacchetti di sigarette schiacciati, di bottiglie di plastica, di contenitori di ogni tipo di merendina, spesso di preservativi. Dal punto di vista umano invece ho incontrato gente semplice, curiosa, gente che rimaneva sorpresa tutte le volte che diciamo che stavamo andando a Roma. Quando ci chiedevano perché, non riuscivano a capire che si possono fare cose anche senza desiderio di guadagno o di visibilità. L’Italia minore dal punto di vista umano è la migliore».
Quali sono i pensieri del camminatore?
«C’è chi sostiene che camminare sia quasi come filosofare. Io più semplicemente ho scoperto la dimensione ipnotica del camminare a lungo. La ripetizione dei movimenti, la testa spesso rivolta a basso a contare involontariamente i passi inducono allo straniamento. I miei pensieri di camminatore non son mai sul viaggio ma sul senso delle cose. Somigliano più ai sogni che al ragionamento».
Da scrittore, qual è il rapporto fra cammino e letteratura?
«Io ho scritto un libro sulla camminata. Il libro è andato bene quindi immagino che l’argomento interessi. Altri hanno scritto libri, penso per esempio ad Enrico Brizzi, ma lui è uno scrittore che cammina, io uno che cammina e che scrive. Insomma, non è obbligatorio scrivere. L’importante è camminare».
Come è cambiato il suo modo di viaggiare da quando la sua famiglia si è allargata con il cane Billie?
«Billie finora non è mai venuta con me se non per fare passeggiate anche lunghe in montagna o a Salina. Camminare con Billie è bello, però crea delle preoccupazioni se non sei sui sentieri. Eppoi in Italia, non si capisce per quale motivo i cani non possano andare liberi da nessuna parte, debbano essere sempre al guinzaglio. È una cosa stupida, della quale io mi disinteresso, ma son sempre a rischio multa».
di Fabio Lepre
Giornalista, redattore, comunicatore di TraTerraeCielo
Inserisci un nuovo commento