Camminare come forma di conoscenza del territorio
Conoscere il territorio ha un elevato valore politico. Chi meglio del camminatore riesce a vedere pregi e magagne che sfuggono al frettoloso viaggiatore motorizzato ed è quindi potenzialmente in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche ambientali e urbanistiche? Non sono certo stati insensibili al fascino della camminata i filosofi, che hanno anzi colto alla perfezione lo stretto collegamento tra camminare e pensare. Aristotele teneva le sue lezioni ai “peripatetici” proprio camminando e parecchi secoli dopo Kierkegaard era convinto che i pensieri migliori gli venissero camminando. Gli esponenti delle arti figurative hanno talvolta utilizzato anche il camminare per esprimere il loro estro: si pensi ai dadaisti con le loro “passeggiate artistico-estetiche”. Non dimentichiamo inoltre che, dagli scenari yankee di Forrest Gump di Zemeckis alla scenografia nostrana di Basilicata coast to coast di Papaleo, anche il cinema ha strizzato l’occhio all’arte del peregrinare. Fino all’Ottocento circa, si è in realtà camminato più per necessità che per piacere, fatta eccezione del manipolo di liberi pensatori che potevano permettersi il lusso di una viandanza più spirituale.
Dall’inizio del XIX secolo il numero degli appassionati del camminare “da diporto” è notevolmente cresciuto. Città più sicure e vivibili e spazi naturali protetti e ben gestiti, quali parchi e riserve naturali, hanno reso meno avventuroso dedicarsi al cammino. Questa stagione aurea per i camminatori è durata fino agli anni Sessanta del secolo scorso. Da allora è iniziata un’urbanizzazione e suburbanizzazione ostile e penalizzante per il pedone. Parecchi “non luoghi” spoetizzanti hanno occupato il posto di spazi deputati al cammino. La camminata è divenuta per molti l’azione per spostarsi dall’auto agli edifici o tra un edificio e l’altro. Un’élite di camminatori ha continuato a camminare per diletto, stretta intorno a un associazionismo spesso per poco incline all’apertura. Nell’ultimo decennio le cose sono cambiate in meglio. Paradossalmente, forse un po’ di merito potrebbe avercelo avuto la crisi economica dapprima strisciante e poi galoppante. Ma non solo.
L’impronta ecologica si è fatta strada in molti, che hanno iniziato a vedere il camminare come svago non costoso, gratificante e poco invasivo e invadente. Un turismo più responsabile si è affermato e viaggiare a piedi per apprezzare meglio la realtà circostante è un fenomeno in rapida espansione. Camminare è divenuto anche qualcosa di socialmente rilevante per la salvaguardia del territorio. A chi va a piedi, infatti, tante cose dell’ambiente circostante non sfuggono, come accade a chi transita velocemente, supportato da rotaie o pneumatici. Camminare allora può rendere migliori non solo se stessi ma anche la realtà circostante. Per lo scrittore e accademico francese David Le Breton, “camminare riduce l’immensità del mondo alle dimensioni del corpo, che assume dimensioni di un continente, la conoscenza del quale è sempre in divenire. Si tratta piuttosto di un atto di sintesi armoniosa tra se stessi e il circostante”.
di Raffaele Basile del Tavolo "Turismo a zero emissioni" di AITR