T-ERRE aderisce al Manifesto per il Po
Un manifesto per salvare il Po ferito da clima e burocrazia
Una ventina di associazioni chiedono che il fiume diventi questione nazionale Troppi enti sovrapposti, ma mancano regole comuni. Appello alle istituzioni
GIUSEPPE SALVAGGIULO
TORINO
Ci ricordiamo del Po solo quando esonda o va in secca con l’acqua salata che risale dal mare per dodici chilometri. Affetto da malattie naturali e burocratiche, il grande fiume che taglia e accarezza il Nord è negletto. «Clinicamente morto, uscito sia dall’agenda politica che dall’immaginario collettivo», dice Paolo Pileri, urbanista del Politecnico di Milano. Il Po è trattato come un gigantesco serpente burocratico, non come una risorsa preziosa da proteggere, curare, valorizzare. Non come una questione politica nazionale. Per questo una ventina di associazioni ha promosso un «Manifesto per il Po», un grido di denuncia e di proposta senza precedenti che sarà discusso con le istituzioni martedì prossimo a Milano.
«L’idea è nata durante un convegno - racconta Luca Imberti, presidente lombardo dell’Istituto nazionale di urbanistica -. Ci siamo detti: al Po non serve un altro ente, ma una cosa nuova, una visione strategica e una rete leggera ma forte che tenga insieme le realtà già esistenti». Il lavoro che ha coinvolto esperti e associazioni ha prodotto un dossier («lo stato di salute del Po presenta aspetti critici, destinati ad acutizzarsi in conseguenza dei cambiamenti climatici») e la richiesta di «una presa di coscienza che non può essere demandata alla sommatoria di interventi frammentari».
Il dossier analizza le principali emergenze ambientali e spiega come l’intervento umano le aggravi, anziché risolverle. Nell’area padana ci sono 115 aree di interesse naturalistico riconosciute dall’Ue. Eppure gli ecosistemi sono sotto attacco. Per un verso i cambiamenti climatici alterano il Dna del fiume. I pesci, per esempio: gran parte delle specie native è minacciata, mentre almeno 22 di quelle attualmente censite sono esotiche (e in questo conteggio non sono considerati gli avvistamenti occasionali di piranha!).
Per altro verso, è in crisi il rapporto dell’uomo con il fiume. Le attività produttive succhiano acqua e scaricano scorie nel fiume, «che deve avere uno stomaco di ferro» anche se «il suo metabolismo soffre di non pochi acciacchi». I ponti sono fragili: quest’estate è stato chiuso quello di Casalmaggiore, quello della Becca alla confluenza del Ticino è sotto osservazione.
Anche dal punto di vista istituzionale, il Po è un sistema complesso. Attraversa un bacino di 70 mila chilometri quadrati (pari alla superficie di uno Stato come l’Irlanda) in cui abitano 16 milioni di persone (come nei Paesi Bassi) e si forma il 40% della ricchezza italiana e il 46% dell’occupazione. Ma due terzi dei Comuni patiscono lo spopolamento. Nonostante ciò, il governo del Po è completamente estraneo al dibattito pubblico.
Non che manchino gli enti, i funzionari, gli uffici. Lungo 652 chilometri sono attivi otto parchi regionali e cinquanta aree protette di vario tipo. L’intera asta fluviale è gestita da due istituzioni dedicate: l’Autorità di bacino distrettuale e l’Agenzia interregionale. Poi ci sono l’Intesa interregionale per la navigazione interna, la Protezione civile, le quattro Regioni con i loro distinti piani paesaggistici e urbanistici, le immortali Province, i Consorzi di bonifica, i Contratti di fiume, i 187 Comuni. Molti enti, sostengono i promotori, non vuol dire molta tutela ma «una ragnatela di numerose e complicate competenze sui territori». Non si riesce ad avere una legge uguale su pesca e cave, a coordinare i prelievi idrici nei momenti di crisi, a unificare la segnaletica, a rendere omogenee le regole di navigazione.
Di qui l’idea della «rete» per coordinare non solo gli enti pubblici, ma anche le iniziative dal basso che potrebbero rendere il Po una formidabile attrazione turistica, grazie al paesaggio, alla gastronomia e a centinaia di beni culturali.
Ci stanno già provando i promotori di VenTo, progetto a basso costo e zero impatto di via ciclopedonale da Torino a Venezia sugli argini del fiume. Elaborato dal politecnico di Milano, dopo otto anni ha ottenuto due milioni di finanziamento pubblico. La bici è un mezzo, il fine è rianimare il Po.