Tempi di crisi
Nel 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria mondiale, culminata con il fallimento di Lehman Brothers, mi trovavo in Tanzania. In un solo giorno vennero polverizzati oltre 900 miliardi di euro di capitalizzazioni e ricordo nitidamente che cercai di spiegare ai collaboratori locali la quantità di denaro che era andata in fumo in quelle ore. Per rendere ancor più convincente la spiegazione applicai il tasso di cambio e tradussi la cifra in scellini tanzaniani: scrissi su un foglio di carta la cifra 1,5 seguita da 14 zeri. Rimasero a bocca aperta. All’epoca guadagnavano il corrispettivo di circa 1,5 euro al giorno (senza alcun zero dopo…), e tali cifre erano decisamente al di fuori dalla loro immaginazione.
Successivamente mi prodigai nel tentativo di spiegare loro i sacrifici che ci si prospettavano in Europa ed elencai una serie di beni a cui avremmo dovuto rinunciare: non saremmo più potuti andare al ristorante o al cinema, licenziamenti e disoccupazione giovanile, riduzione delle spese alimentari, basta vacanze, tagli alle scuole e ai servizi sanitari, carburanti alle stelle, rincari sulle bollette.
Mi dissero che non gli sembravano dei grandi sacrifici: loro tutte quelle cose non le avevano mai conosciute.
Nello stesso periodo a Bomalang’ombe e Lyamko, i due villaggi presso cui vivevamo, nacque dietro iniziativa di privati cittadini l’associazione “Mshikamano” (che significa “solidarietà”), che aveva lo scopo di aiutare i più poveri e i malati. Ricordo un’assemblea di Mshikamano, cui presero parte oltre cento persone, nel corso della quale vennero raccolti i fondi (pochi scellini in realtà) per aiutare alcune famiglie in difficoltà fornendo loro sapone e farina di mais.
Ci sono circa due miliardi di persone, su questo pianeta, che vivono in nazioni che non riescono a garantire loro un reddito pro capite di 2 euro al giorno (a parità di potere d’acquisto). E questa cifra non tiene conto dei poveri che vivono in India, Brasile e Cina, potenze economiche che hanno terribili problemi di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
Ci sono poi circa 900 milioni di persone (quasi la popolazione di Europa e Stati Uniti messe insieme) che vivono in contesti di guerra.
Questo post [n.d.r.: dal blog http://nuvoledeserto.blogspot.com/] non vuole sminuire il dramma delle famiglie occidentali che perdono le loro fonti di sostentamento e che conoscono situazioni di povertà. Voglio soltanto sottolineare quanto siano forti i nostri lamenti per l’attuale situazione economica e quanto silenziosa sia la maggioranza della popolazione mondiale che da sempre vive realtà di privazione e sopruso.
La crisi economica ci sta facendo solo intravedere lo stile di vita medio dei miliardi di poveri di questo mondo, e questo ci spaventa e ci scandalizza. Siamo impazienti di ripristinare la distanza tra ricchi e poveri che c’è sempre stata e che inconsciamente consideriamo come normale.
Un’ultima riflessione. Il degrado morale ed etico che permea la società dei paesi economicamente sviluppati è figlio del benessere. E’ solo un caso se le personalità che hanno comunicato i valori più alti dei tempi moderni siano fiorite in ambienti dove si sperimentavano povertà e ingiustizia?
La crisi ci restituirà i valori che avevamo dimenticato? Ci ricorderemo che l’uomo vale infinitamente più del denaro?