A caccia di fiumi sotterranei, Andrea Benassi racconta l'ultima spedizione

Inserito da Giorgio Gatta mercoledì 09 gennaio 2019

«Siamo stati fermati e minacciati con il machete, alla fine però siamo andati avanti e ritorneremo»


Sandro Bassi - E’ rientrata la quinta spedizione speleologica in Indonesia «a caccia di fiumi sotterranei» del collettivo Geo Acheloos Exploring, coordinato dal casolano Andrea Benassi. Originario di Roma dove si è laureato in antropologia, Benassi è  ormai diventato da anni un casolano di adozione e in questa circostanza rappresentava anche il gruppo speleologico di Casola, quella Società Saknussem che si ispira, nel nome e nel concetto, al «Viaggio al centro della Terra» di Giulio Verne. 


L’esplorazione speleologica, si sa, vuol dire ricerca dell’acqua nelle viscere della Terra, perché le grotte sono scavate dall’acqua sempre e comunque (tutte le altre, dalle cavità vulcaniche a quelle tettoniche dovute a tensioni della crosta terrestre, sono eccezioni, importanti o belle fin che si vuole, ma eccezioni); ciò vale anche per i nostri modesti Rio Basino, Rio Stella, per i ruscelli interni alla Tanaccia o al Re Tiberio con la riserva però che, visti i bacini di assorbimento limitati alla Vena del Gesso, si arriva a portate massime di non più di 500 litri al secondo, mentre per l’Indonesia si deve parlare di metri cubi (e quindi 1000 litri per unità) e di portate medie sui 50 metri cubi e massime (in casi di forti piene) di oltre 500… quindi, mille volte di più.


La spedizione 2018, così come le precedenti, ha avuto come obiettivo il fiume Aouk, in Papua occidentale, un corso d’acqua impressionante e tipicamente carsico, con inghiottitoi che lo fanno sparire sottoterra, lunghi tratti ipogei dove scorre sotto cieli di pietra e risorgenti dove torna temporaneamente alla luce. Nelle spedizioni precedenti Benassi e soci, oltre a scendere pozzi e a fare esplorazione speleo in senso stretto, avevano cercato e trovato anche animali troglobi (abitatori esclusivi di grotte, evolutisi con adattamenti morfologici e fisiologici – ad esempio perdita del pigmento e degli organi visivi, sostituiti con altri tattili - irreversibili) come scorpioni, scolopendre e gamberi grossi come aragoste. 


Stavolta la spedizione è stata funestata da ostacoli di natura politico-sociale, ostacoli ormai cronici per un Paese come l’Indonesia che da tempo è instabile. Pur provvista di tutte le autorizzazioni, la spedizione si è trovata non più in un clima di «guerra fredda» come negli anni passati, ma in situazioni di tensione molto grave se non di guerra «caldissima» e guerreggiata. «In più occasioni siamo stati bloccati, minacciati a colpi di machete e letteralmente cacciati via - spiega Benassi - e ciò rientra nella perdurante situazione di conflitto fra la popolazione e lo Stato, conflitto dove noi ovviamente non entriamo in nessun modo ma dove possiamo essere percepiti come - bianchi invasori-. Certo a qualcun altro è andata anche molto peggio e mi riferisco ad esempio ai 32 operai che lavoravano alla costruzione di un ponte sulla progettata strada trans-indonesiana e che sono stati tutti massacrati lo scorso 1 dicembre. In fondo, per quanto in malo modo, noi siamo stati semplicemente  - invitati - a togliere le tende».


Tuttavia, le intenzioni esplorative, scientifiche e cognitive a lunga scadenza restano immutate. «Abbiamo sempre i nostri rapporti con il Museo di Storia naturale di Firenze, con la Società speleologica italiana e con la Macro area per i parchi e la biodiversità di Romagna (che include anche la Vena del Gesso) e dalla prossima volta concretizzeremo anche un accordo con l’Università di Praga per campionamenti e prelievi finalizzati a ricerche sui batteri. Torneremo in Indonesia - conclude Benassi - tra l’agosto e il settembre prossimi perché il progetto prosegue».  



2 gennaio 2019

Settesere


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