Andrea Benassi ripercorre la sua odissea al rientro dal Messico al tempo del Covid-19

Inserito da Andrea Benassi mercoledì 15 aprile 2020

C’è chi allo scoppiare della pandemia nel Vecchio continente aveva appena lasciato l’Italia per cercare «riparo» nell’oscurità ipogea del Nuovo mondo. Si tratta dell’antropologo e speleologo casolano Andrea Benassi.


«Mentre ci stiamo imbarcando all’aeroporto di Linate in direzione Francoforte, stavano scoppiando i primi casi di Covid-19 tra Milano e Piacenza. Alcune ore dopo, a Città del Messico, le notizie che ci giungono dall’Italia cominciano a parlare dei primi morti, mentre i contagi si decuplicano. La Sierra Mazateca – spiega - è un po’ fuori mano rispetto a città e turisti. Fortunatamente il nostro campo base è in una casa isolata lontana un chilometro dal paese. Due settimane dopo l’inizio di marzo, e tutti in ottima salute, le poche notizie che ci giungono dall’Italia, ci fanno capire la situazione non è sotto controllo e cominciamo a domandarci se questo complicherà il nostro ritorno». A dir la verità c’è anche chi gli consiglia di non tornare proprio in Italia.…

Al rientro la consapevolezza della gravità mondiale diventa palese anche tra gli esploratori. «Una volta a Città del Messico – ricorda Benassi - nonostante non ci siano casi di contagio ufficializzati, ogni negozio che incontriamo, comprese le piccole bancarelle che vendono cibo in strada, mettono a disposizione dei clienti gel per disinfettare le mani. La vita nella città prosegue normale, ma lungo le strade, nei musei e in molti spazi pubblici cartelli e avvisi spiegano pericoli e norme per evitare il contagio. Nei negozi disinfettanti e mascherine sono disponibili a prezzi normali». Poi la beffa. «A poche ore dalla partenza scopriamo che la nostra compagnia aerea vuole risparmiare. I voli verso l’Italia sono vuoti e arbitrariamente decidono di ridurli accorpando i passeggeri. Con un paio di giorni di ritardo riusciamo comunque a partire in direzione di Francoforte. In Messico però l’Italia è segnalata come destinazione pericolosa insieme a Cina e Iran». Non così, invece, in Europa. «A Francoforte – prosegue - il clima è diverso. Tutto sembra normale. Non si trovano disinfettanti, qualche avviso vago e nessuno tra il personale indossa mascherine o altro per proteggersi. Nello stesso momento la cancelliera Merkel dagli schermi televisivi annuncia come è probabile che il 70% dei tedeschi potrebbe ammalarsi di Covid-19». Una preoccupazione che si concretizza nel viaggio verso lo scalo lombardo. «Qui praticamente tutti i passeggeri indossano una mascherina e l’atmosfera è tesa. All’aeroporto non migliora di certo: il luogo è praticamente deserto, la Croce Rossa esegue i controlli della temperatura con le termocamere, la gente si tiene a distanza. Una volta fuori l’aspetto della città e dell’autostrada è abbastanza spettrale. Ovviamente l’argomento virus monopolizza le discussioni durante il viaggio di rientro a casa, quanto sia pericoloso, quanto potrà andare avanti, poi all’altezza di Genova, mentre attraversiamo una galleria, un paio di pezzi di intonaco ci precipitano appena davanti. Siamo tutti d’accordo che il virus sia un pericolo, ma anche che non sia il solo». 


21 marzo 2020

Riccardo Isola

Settesere


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