Un ricordo di Mandiaye Ndiaye di Raffaella Sutter

Inserito da Giorgio Gatta mercoledì 10 giugno 2020

Un ricordo di Mandiaye Ndiaye - grazie a Raffaella Sutter -. Per noi di T-ERRE è stato un indimenticabile mediatore culturale di Ravenna e accompagnatore di viaggi in Senegal.

E' stato un onore e un privilegio averti al nostro fianco, caro amico, per un frammento della tua pur breve vita!


ricorrenze: Mandiaye Ndiaye (5 marzo 1968, Diol Kadd, Senegal – 8 giugno 2014 Diol Kadd, Senegal) attore, regista, operatore culturale transnazionale.

 

“Uno spettacolo è straniero ovunque vada in scena. La teranga, l’ospitalità senegalese, ha alla base l’idea che attraverso l’ospite si possa conoscere se stessi, perché lo straniero è specchio di chi l’accoglie. Quando una cultura viaggia riesce a toccare aspetti di chi la incontra che questi, immerso nel suo mondo, fatica a scorgere.”

Mandiaye Ndiaye


Mandiaye Ndiaye nasce a Diol Kadd; la parola kadd indica nella lingua wolof gli alberi tipiici della savana che circonda il villaggio.

“Si dice che io sia nato nel 1968. Mio padre sosteneva che fu proprio nell’anno in cui morì un famoso califfo, perché ci furono liti sul fatto che io dovessi portare il suo nome. Il nome non mi fu dato, ma mi piace pensare di essere nato in quell’anno” (da Linda Pasina “ Takku Ligey: un cortile nella savana. Il Teatro di Mandiaye N’Diaye”, Ed.Titivillus 2011).

Bambino a Dakar negli anni '70 Mandiaye, arriva in Italia a Rimini nel 1988 e fa il venditore ambulante e il sarto fino a quando il teatro irrompe nella sua vita e incontra il teatro delle Albe.

“Finchè nell’aprile dell’89 sono arrivati Marco Martinelli e Luigi Dadina da Ravenna, per cercare tre senegalesi che sostituissero i primi tre che avevano lavorato con loro. Io ero sul balcone a fumare una sigaretta e vidi dall’alto l’immagine di Marco e Gigio circondato dai miei amici senegalesi” (da Linda Pasina).

Mandiaye dice di essere un attore e finge di essere un griot.

Debutta nello spettacolo di Marco Martinelli, Ruh, Romagna più Africa uguale, lavoro basato sulla teoria scientifica della deriva dei continenti secondo la quale un pezzo d’Africa si è staccato dal continente originario per incastonarsi nel continente europeo, proprio dove c’è l’Emilia Romagna: ”Ravenna felice, tu sei Africa / Sei una zattera africana /Incastrata tra le nebbie”.

Inizia il percorso artistico di Mandiaye come attore e come regista che lo porta a collaborare strettamente col Teatro delle Albe, di cui rimarrà socio anche dopo il suo ritorno in Senegal, e a produrre propri spettacoli col Takku Ligey Theatre, intrecciando la sua storia e la sua vita senegalese e italiana, portando in scena favole africane e reinterpretando classici come Aristofane.

Attore del Teatro delle Albe in: Lunga vita all’albero, Le due calebasse (scritto da Mandiaye, regista Martinelli), Nessuno può coprire l’ombra, I ventidue infortuni di Mor Arlecchino, Griot Fuler (di cui è anche autore insieme a Luigi Dadina), All’inferno, Polacchi,Vita e conversione di Cheikh Ibrahima Fall (autore insieme a Martinelli), Sogno di una notte di mezza estate, Mighty Mighty Ubu, Ubu buur (spettacolo in cui i “palotini” sono un gruppo di ragazzi di Diol Kadd, e le cui prove e prima rappresentazione si svolgono a Diol Kadd. La storia è raccontata in: Teatro delle Albe, Suburbia, ubulibri 2008).

Regista del Takku Ligey Theatre con: Leebu Nawet ak Noor. Il gioco della ricchezza e della povertà, Sundiata, Nessuno può coprire l’ombra, Opera Lamb (rappresentata per la prima volta al Ravenna Festival nel 2014, dopo la morte di Mandiaye).

A metà degli anni '90 Mandiaye inizia a promuovere un più stretto scambio culturale col Senegal avviando a Dakar la breve l’esperienza del Guediawaye Theatre.

Ma sarà dal 2003 che Mandiaye tornerà in Senegal, a Diol Kadd, per lavorare con l’associazione degli abitanti del villaggio “Takku Ligey”, con le prime sperimentazioni di turismo responsabile (col Laboratorio Teranga di Claudio Cernesi) e di attività culturali e teatrali.

Nel 2003 e per due anni successivi lo scrittore Gianni Celati passerà un mese a Diol Kadd e da questi soggiorni nasceranno un libro: Gianni celati, Passar la vita a Diol Kadd, Feltrinelli 2011 ed un film documentario.

Nel 2006 tutto il villaggio viene coinvolto nella produzione di Ubu Bur (Ubu Re) di Marco Martinelli.

Nel 2006 nasce a Ravenna l’Associazione Takku Ligey Italia (Takku Ligey significa in wolof “darsi da fare insieme”) che con la gemella senegalese ottiene i finanziamenti per un progetto MIDA finanziato dalla cooperazione italiana in Senegal “Terra Teatro e Turismo”.

Il progetto, come i successivi progetti di cooperazione decentrata che saranno promossi dalla Regione Emilia Romagna, dal Comune di Ravenna e dall’Università di Parma, ha l’obiettivo di frenare l’immigrazione dei giovani dal villaggio e di riportare i migranti, valorizzando la terra e le coltivazioni, promuovendo turismo responsabile e produzioni teatrali del Takku Ligey Theatre.

Negli anni successivi saranno sperimentate irrigazioni della terra e coltivazione di orti; verranno ospitati nella foresteria del villaggio studenti, studiosi, turisti, attori; verranno realizzati spettacoli teatrali col coinvolgimento di attori del villaggio e successivamente anche del quartiere di Guediawaye, Dakar.

Mandiaye è stato più volte anche al CISIM dove sono stati messi in scena alcuni suoi spettacoli.

Mandiaye è morto a Diol Kadd 8 giugno 2014 durante le prove dello spettacolo a cui stava lavorando nel teatro/cortile del villaggio: Opera Lamb, uno spettacolo sulla disciplina della lotta tradizionale senegalese.

Il regista Marco Martinelli ricorda Mandiaye Ndiaye attraverso il suo sorriso:

“Mandiaye era il suo sorriso. .. E anch’io quando lo penso, lo penso attraverso il sorriso. Lo incontrai per la prima volta nella primavera del 1989, a Rimini…. Il suo sorriso aveva prima di tutto una qualità infantile, come quella di tanti bambini africani, il cui sorriso va oltre le brutture del mondo, oltre le ingiustizie del pianeta, oltre la cattiveria dei grandi, oltre le discariche e le baraccopoli, oltre tutti i cinismi, oltre tutte le nostre chiacchiere da intellettuali. Un sorriso che fa nuovo il mondo ogni giorno. Un sorriso che significa accoglienza, la vita che si fa ospite. Io ci sono, e tu anche ci sei. Ti vedo, i miei occhi sorridenti ti vedono. Non sei bianco, non sei nero, non sei adulto, non sei bambino: ci sei, e questo basta. I mei occhi scintillano per accoglierti, perché tu mi accolga. Possiamo stare insieme su questa terra, possiamo giocare insieme, senza violenza, senza giudizio, senza la paura che nasce dal giudizio. E’ il sorriso dei re. La vita potrebbe essere un giardino ospitale, e invece non lo è. Lo sappiamo bene che non lo è. Ma quel luccicare regale degli occhi è la prova, il sigillo, il segno di fede, di fiducia, che un altro mondo è possibile, ed è in questo mondo.

“
Mandiaye era un devoto alla luna, e per sostenere meglio e più a lungo la sua inguardabile luminosità, si metteva un dito sotto il mento e in questo modo si alzava il capo, con gesto infantile. 
Un gesto che ha più volte usato negli spettacoli, e che ha indicato a noi come poter guardare attraverso.
 Anche noi ora ci metteremo il dito sotto al mento, per poter continuare a vedere il nostro amato compagno. Sorridenti. “


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