Moena, una bellezza inebriante /2
Come affrontare i sentieri
Al terzo giorno di escursione, su suggerimento di Carola dell’albergo, vado per un bellissimo sentiero per il Passo di San Pellegrino passando da Someda e da Ronchi.
Poi non capisco dov’è direzionata la freccia del sentiero e mi trovo sulla statale.
Mentre cammino vedo un sentiero in parallelo con il torrente nel mezzo che ci divide e mi dico che basterebbe guadare il corso d’acqua e mi risparmierei un po’ di strada.
Ma è troppo impetuoso e non ci sono massi su cui saltare senza rischiare la vita.
Mi è venuto un flash immaginando quelle persone migranti che nei Balcani attraversano dei corsi d’acqua per venire in Europa e che spesso sono morte per attraversarli.
Cosa avrebbero fatto al mio posto? Avrebbero tentato comunque?
Mi dico quanto sono fortunato a non dover prendere una decisione del genere.
Torno sui miei passi e intuisco dove la freccia del sentiero vuole andare a parare e cioè a un largo spazio con tanto di cartelli di interdizione per chiunque.
Ho già visto qualcosa di simile nei due giorni precedenti: basta circumnavigare il cantiere dove ci sono automezzi che lavorano, ma molto spesso ci sono solo i cartelli e basta.
Io ho sempre cercato gente del posto che mi potesse dare indicazioni precise sulla prassi da seguire perché non è affatto detto che tu non ci debba assolutamente andare.
Certo che se ti svolazza sopra la testa un tronco d’albero condotto da un mezzo meccanico, è meglio evitare!
La coppia di ragazzi di Città di Castello
Il sentiero è lungo e a tratti faticoso, ma ha degli scorci di panorami bellissimi.
Quando arrivi a Fango sei quasi a metà strada e ti trovi in un piano attiguo alla statale che è zona picnic con cartelli grandi e indicazioni che fanno riferimento alle postazioni della prima guerra mondiale.
Proseguo senza incontrare anima viva come fino a lì è stato. Un pochino mi preoccupa e ne approfitto quando incontro un cicloturista che viene giù per chiedergli a che punto sono e lui molto gentilmente si ferma.
L’unico problema è che parla tedesco e io faccio comunque finta di capire cosa mi dice.
Dalla sua gestualità penso che non dovrebbe mancare molto: oltre alla cordialità mi trasmette tranquillità.
Verso la fine, il sentiero si interrompe e il paesaggio diventa tipicamente alpino con cumuli di neve di qua e di là.
Mi oriento alla bell’ e meglio, tanto l’importante è che senta scrosciare il torrentello, mio punto di riferimento, e quindi concludo girando le baite del San Pellegrino, già pregustando il ritorno in corriera via strada statale.
Ma ahimè il cartello alla fermata dell’autobus segnala che ci sono solo tre corse durante il giorno e l’ultima guarda caso è già passata.
Sto già pensando di prendere informazioni su internet dal mio tablet quando scorgo una coppia giovane che va verso la sua macchina.
L’unica macchina parcheggiata, fra l’altro, in un enorme parcheggio.
Non so cosa sia scattato in me, se spirito di sopravvivenza o intraprendenza romagnola: mentre stanno salendo in macchina chiedo loro, da una certa distanza, se possono darmi un passaggio fino a Moena.
Il mio tentativo è molto amichevole, pacato e tranquillo – non do la sensazione di essere disperato, anche perché non lo sono – ma loro sono molto sorpresi dalla mia richiesta e ovviamente – lei dice – prendere in macchina uno sconosciuto, in questi tempi di Covid, non è proprio il massimo.
Ammetto che non ci avevo proprio pensato e alla sua espressione di paura, alzo le mani e non posso che darle ragione.
Per cui mi congedo da loro benevolmente e senza sapere cosa fare per il ritorno in albergo, vado verso un prato con i tavoli e le panche.
Dopo aver scambiato due brevi chiacchiere con una persona anziana con la macchina fotografica al collo, mi fermo anch’io con il mio tablet in cerca di chissà quali informazioni risolutive.
Vedo poi di fronte a me, lontana, una macchina che parcheggia come se dovesse fare una sosta momentanea e scendere un ragazzo che mi domanda:
“Lei è sempre interessato a quel passaggio?”
Capisco che sono sempre quelli di pochi minuti fa e dico:
“SÌ!!!”
Quando sono presso loro dicono che ci hanno ripensato e gli “sapeva male” lasciarmi lì.
Mi commuovo e quasi sobbalzo di contentezza per il regalo inatteso e per questo tanto gradito!
Stanno in albergo a Vigo e quindi passano da Moena…
Mi dicono poi che sono di Città di Castello e allora sfoggio le mie conoscenze, come don Achille Rossi, che si è inventato un giornale mensile e che da 25 anni organizza un convegno nazionale “sull’economia che uccide”, che è pure uno slogan usato nei suoi discorsi da Papa Francesco attualmente.
Loro dicono che lo conoscono ma che non sapevano di questa sua attività…
Il tempo corre via veloce e quasi non ci si accorge che sono arrivato a destinazione.
Tante cose avevamo ancora da dirci e il mio cuore è fortemente emozionato e pieno di gratitudine per questa magnifica giornata.
Grazie ragazzi e a presto!
Giorgio Gatta